Al cielo si urla in un incerto momento
per chiedere conto del male arrecato e del fato ingrato.
La strada si biforca senza un cartello,
piove a dirotto e senza un ombrello.
Niente fari, torce o stelle comete,
bui i sentieri, ignote le mete.
L'uomo non coglie di certi momenti,
che scorrono implacati e irruenti.
Senza posa suonate a corredo
note dolenti.
Melodie cupe di legami spezzati,
e di frutti amari ingoiati.
Sogghignano gai del male gli agenti,
per l'equilibrio smarrito
ed i piedi tremanti.
La speranza muore solo alla fine,
prima che il tempo ne abbia ragione,
ma essa si arrende quando non c'è spiegazione,
per un furto subito da chi aveva lasciato aperto il suo cuore.
Le dita scivolano sul tessuto del tempo,
che ingrato che è il mondo,
che ingrato che è il mondo.
Su questa crosta di roccia,
si brucia e si soffre dolore.
Come chi da una finestra si affaccia,
in un attimo si vive e si muore.